Non violenza e pacifismo
Le guerre che hanno devastato il pianeta nel corso dell’ultimo secolo
hanno portato ad assegnare un’importanza maggiore alla ricerca della
pace. Già Kant (Per la pace perpetua, 1795) e gli illuministi,
verso la fine del Settecento, condannavano la guerra come prodotto dell’intolleranza,
mentre promuovevano la libertà di pensiero, la fratellanza e
la pace. L’idea della tolleranza, come condizione necessaria
perché
si possa realizzare uno stato di pace, è ancora valido, ma ha rivelato
quanto sia insufficiente, infatti implica un’accettazione passiva
delle idee e dei comportamenti altrui, mentre per condividere gli stessi
spazi è necessario una reale comprensione e un dialogo costruttivo.
I movimenti socialisti, che si sono sviluppati a partire dalla metà
del XIX secolo, hanno interpretato il problema della guerra nell’ottica
della lotta di classe: finché la classe dei capitalisti avrebbe avuto
il potere, la pace non sarebbe stata possibile, soltanto la rivoluzione
socialista avrebbe portato le condizioni necessarie a realizzare uno stato
di pace. In questo modo non valevano più i confini di stato perché
i proletari si identificavano nella loro classe indipendentemente dalla
loro provenienza. La storia però sembra aver smentito le ipotesi
socialiste, tra i Paesi che hanno cercato di realizzare grandi società
socialiste i conflitti e le guerre non sono affatto scomparse, spesso si
è ricorso all’esercito per sedare manifestazioni e ribellioni,
il cui scopo era affermare le proprie libertà.
La storia ci ha insegnato che le guerre non vengono fatte soltanto ad opera
di generali senza scrupoli, ma spesso capita che questi generali abbiano
il consenso della maggioranza della popolazione, talvolta si tratta anche
di Stati che vantano civilissimi governi democratici.
Ogni giorno le pagine dei giornali riportano notizie su nuove esplosioni
di violenze, nuove battaglie, nuove guerre. Alle antiche forme di ostilità
si aggiungono oggi nuove forma di violenza: la droga, che produce intorno
a sé sfruttamento, devastazione fisica e morale, morte; epidemie
di diverso genere, tra cui l’AIDS è sicuramente la più
diffusa; l’inquinamento della terra, dell’aria e dell’acqua,
che ha peggiorato le condizioni di vita e di salute; il ritmo frenetico
che caratterizza le grandi metropoli e che ha generato nuove malattie; i
rischi e i pericoli derivanti dal progresso scientifico e tecnologico.
Di fronte a questa situazione si è affermato un pacifismo più
radicale, che prende ispirazione da alcuni personaggi illustri, come Gandhi
e Martin Luther King. I principi della non violenza arrivano a comprendere
sia il piano dei rapporti individuali, sia il piano sociale e politico.
Gandhi affermava che reagire con violenza alla violenza non fa che produrre,
come in un circolo vizioso, altra violenza, mentre i rapporti pacifici portano
vantaggi durevoli. Lo stesso predicava King, sostenendo che reagire con
odio all’odio non porterà alla soluzione delle ingiustizie
e delle discriminazioni, soltanto riuscendo ad amare i propri nemici si
potrà realizzare un nuovo ordine di pace. Entrambi diventarono la
voce di popoli sottomessi, Gandhi per l’India, che si dovette liberare
del giogo inglese, e King per la popolazione afro-americana, da sempre soggetta
a discriminazioni razziali. La violenza va debellata alla sua origine, occorre
quindi eliminare totalmente i pregiudizi. Bisogna rifiutare l’idea
che la guerra sia una forma di politica alternativa alla diplomazia. La
guerra è un evento che prevede la negazione dei diritti umani e impedisce
ogni forma di libertà e di democrazia.
I pacifisti sono spesso accusati di utopismo, ma si può rivolgere
la stessa accusa agli avversari, d’altronde “quando le armi
dei due contendenti sono tali da far ritenere probabile lo sterminio di
ambedue, allora ogni fondamento di legittimità della guerra scompare
e quel che ieri sembrava realismo diventa insensatezza” (E. Calducci,
P. Onorato, 1981, p. 83). Questo modello di pensiero fa sì che anche
il principio di legittima difesa debba essere cancellato, poiché
potrebbe essere applicato non soltanto alle relazioni tra individui, ma
anche alle relazioni tra gli Stati, giustificando, come di fatto accade,
qualsiasi guerra.
L’articolo 11 della Costituzione Italiana dichiara: “l’Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri
popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”
I pacifisti sono dispersi in una miriade di associazioni grandi e piccole,
laiche e religiose. Un’organizzazione, che da anni opera per la pace,
è Amnesty International.
Amnesty International
Amnesty International è un’organizzazione non governativa indipendente,
che ha come principale obiettivo la difesa dei diritti umani; è stata
fondata nel 1961 dall’avvocato inglese Peter Benenson, che lanciò
una campagna per l’amnistia dei prigionieri di coscienza.
Il 28 maggio 1961 sul The Observer, Peter Benenson così scriveva:
"Aprite il vostro giornale ogni giorno della settimana e troverete
la notizia che da qualche parte del mondo qualcuno viene imprigionato, torturato
o ucciso perché le sue opinioni o la sua religione sono inaccettabili
per il governo. […] Il lettore del giornale sente un nauseante senso
di impotenza. Ma se questi sentimenti di disgusto ovunque nel mondo potessero
essere uniti in un’azione comune qualcosa di efficace potrebbe essere
fatto."
Oggi Amnesty conta attualmente quasi due milioni di soci, sostenitori e
donatori in più di 140 paesi.. Lavora per la realizzazione di un
mondo dove i diritti sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti
umani e dagli altri documenti sulla protezione internazionale siano riconosciuti,
garantiti e tutelati. Attraverso ricerche e azioni mirate Amnesty intende
prevenire e far cessare i gravi abusi che danneggiano l’integrità
fisica e mentale delle persone, la personale libertà di coscienza
e di espressione, si batte inoltre contro ogni tipo di discriminazione,
denuncia gli abusi commessi dai gruppi di opposizione, assiste i richiedenti
asilo politico, sostiene la responsabilità sociale delle imprese
e si batte per un trattato internazionale sul commercio di armi.
L’organizzazione è suddivisa in tante Sezioni nazionali, la
cui attività è coordinata da un ente centrale, il Segretariato
Internazionale, che ha sede a Londra. Quest’ultimo dirige inoltre
le ricerche ed elabora e diffonde i documenti su cui si basa l’azione
di tutto il movimento. Ciascuna Sezione nazionale sviluppa e coordina le
attività delle diverse strutture locali: le Circoscrizioni regionali,
i Gruppi e, infine, i singoli soci. Ogni Sezione nazionale è dotata
di un proprio Statuto, aggiornato durante l’Assemblea Generale, che
si tiene annualmente ed è libera a tutti i soci. Il punto di forza
del movimento sono i Gruppi, che costituiscono l’unità di base
dell’organizzazione, sono diffusi in maniera capillare su tutto il
territorio nazionale. I Gruppi ricercano nuovi soci, collaborano con gli
enti locali, diffondono e comunicano le ricerche e le azioni compiute, collaborano
allo svolgimento delle campagne, dalla raccolta fondi all’educazione
ai diritti umani.
Una campagna su un paese o su un tema coinvolge a tutti i livelli il movimento
e prevede l'utilizzo delle più diverse tecniche per la sensibilizzazione
dell'opinione pubblica e la pressione verso i governi violatori: invio di
appelli, contatti con le ambasciate, organizzazione di eventi pubblici,
attività di lobby presso i governi e le organizzazioni internazionali.
Alcuni casi necessitano di azioni urgenti, che mobilitano gli aderenti alla
rete in circa 48 ore. Le reti di azione regionale raggruppano i Gruppi Amnesty
appartenenti a diverse Sezioni nazionali che si occupano di una particolare
regione del mondo. I gruppi aderenti si adoperano per aumentare la propria
conoscenza su specifiche zone geografiche e, nello stesso tempo, si tengono
pronti a rispondere a emergenze dei diritti umani che si presentino in quelle
regioni.
Gran parte del lavoro di Amnesty consiste nell’esercizio di richieste
e pressione sui governi, nel pubblicizzare le loro violazioni e nell’inviare
raccomandazioni sul rispetto dei diritti umani. Amnesty in tutti questi
anni si è avvalsa di una delicata attività di rapporti con
le istituzioni: le autorità governative di ogni singolo Paese, dell'Unione
europea, delle Nazioni Unite e delle altre Organizzazioni intergovernative.
Alle istituzioni viene richiesto di proporre e sostenere disegni di legge
volti a promuovere e a difendere i diritti umani e di orientare la politica
estera e le relazioni internazionali, affinché i diritti umani ne
costituiscano un essenziale parametro di valutazione.
L’educazione ai diritti umani è un’importante aspetto
dell’operato di Amnesty, si tratta infatti della base fondamentale
per una qualsiasi strategia preventiva efficace di difesa della dignità
e della libertà di ogni individuo.
- Esistono altre ONG che operano in settori analoghi. Decrivi l'attività di una di esse, dedicando particolare attenzione alla sua struttura. Quali le somiglianza e quali le differenze?
- Descrivi l'iniziativa di una ONG che ha avuto successo. Quali sono stati gli strumenti impiegati?
- L'attività di ricerca delle ONG è molto importante. Quali sono i settori indagati da Amnesty International, come viene svolta l'attività di ricerca?