Religione
(A cura del prof. Ettore Giribaldi,
per la Elledici Editore)
La rivelazione ebraico-cristiana elimina in modo sempre più chiaro l’idea della paura di Dio.
La paura ed il peccato
Il termine "paura" entra in gioco nella Bibbia proprio nel racconto
delle origini: quello di tradizione Jahvista che troviamo nei capitoli 2
e 3 del libro della Genesi. Scopo del racconto è raccontare l’origine
del male nella storia, ed il narratore costruisce una raffinata metafora
della storia dell’uomo, creatura plasmata da Dio nella terra e poi
animata con lo Spirito di vita.
Quest’uomo, Adamo, custode del giardino di Eden insieme ad Eva, sua
moglie, non deve mangiare dell’albero della conoscenza del bene
e del male, che sta al centro del giardino, ma il serpente tenta la donna
facendole credere che la ribellione a Dio avrebbe significato: “diventare
come Dio”, conoscendo il bene ed il male. Eva, com’è
noto, si lascia convincere e subito coinvolge Adamo nel suo stesso gesto.
“Allora –specifica il testo- si aprirono gli occhi di
tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico
e se ne fecero cinture” (Gn. 3,7). La nudità, intesa
come povertà e vergogna, è dunque il primo effetto di quel
peccato, che è stato all’origine del rapporto distorto con
Dio, a causa della ribellione umana.
A questo punto il racconto si sposta all’ora del tramonto, quando
il Signore scende nel giardino, per godersi la frescura. Come un amico cerca
Adamo chiamandolo: "Adamo, dove sei?" E proprio nella risposta
di Adamo compare la parola "paura":
"Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura,
perché sono nudo, e mi sono nascosto»". (Gn. 3,10)
Ecco qui il nodo: nella tradizione biblica di Dio non si ha paura. E’
il peccato che, mettendo in crisi il rapporto tra Dio e l’uomo, genera
in quest’ultimo il sentimento di paura, che è il modo nel
quale si manifesta il fatto di essere stato infedele al patto stipulato
con Dio.
Dio si fa vicino
La risposta di Dio a questa infedeltà radicale dell’uomo
è il suo piano di salvezza, che passa attraverso un appassionato
"farsi prossimo" di Dio all’uomo, perché questo,
affidandosi a Lui, si lasci ricostituire nella sua dignità di figlio,
creato ad immagine e somiglianza di Dio.
Un’antologia essenziale di questo cammino non può che cominciare
con la chiamata di Abramo: "Il Signore disse ad Abramo: «Vattene
dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese
che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò,
renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò
coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e
in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra». (Gn.
12,1-3)
La salvezza entra nella storia non come un fatto mirabolante, una sorta
di stratosferico effetto speciale, ma attraverso la con-versione, il cambiamento
di strada, di un uomo vecchio e senza figli: Abramo, chiamato ad essere
padre del popolo di Dio, depositario dell’alleanza tra Dio e l’uomo
e "benedizione" per tutte le famiglie della terra. In un piccolo
angolo di mondo: Ur dei Caldei, in un tempo remoto, alla fine dell’età
del bronzo, nella casa di un pastore, Dio inizia la sua silenziosa, paziente
ed inarrestabile azione di salvezza.
Un altro passaggio determinante, ed un altro personaggio-chiave di questa
vicenda è la figura di Mosè. Qui Dio presenta un nuovo aspetto
della sua azione: non solo l’alleato, ma il liberatore del popolo
che era divenuto schiavo degli egiziani nella festa di Pasqua.
Allora Dio ascoltò il loro lamento, si ricordò della sua alleanza
con Abramo e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti e
se ne prese pensiero.
Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote
di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte
di Dio, l'Oreb. L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco
in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco,
ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio
avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non
brucia?».
Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò
dal roveto e disse: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!».
Riprese: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché
il luogo sul quale tu stai è una terra santa!».
E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di
Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si velò il
viso, perché aveva paura di guardare verso Dio.
Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto
e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le
sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo
uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso, verso un paese dove
scorre latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l'Hittita,
l'Amorreo, il Perizzita, l'Eveo, il Gebuseo. Ora dunque il grido degli Israeliti
è arrivato fino a me e io stesso ho visto l'oppressione con cui gli
Egiziani li tormentano. Ora va'! Io ti mando dal faraone. Fa' uscire dall'Egitto
il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè disse a Dio: «Chi
sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto gli Israeliti?».
Rispose: «Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato:
quando tu avrai fatto uscire il popolo dall'Egitto, servirete Dio su questo
monte».
Mosè disse a Dio: «Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro:
Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama?
E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io
sono colui che sono!». Poi disse: «Dirai agli Israeliti: Io-Sono
mi ha mandato a voi». Dio aggiunse a Mosè: «Dirai agli
Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio
di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio
nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato
di generazione in generazione. (Es. 2,24-3,15)
Notiamo subito che in Es 3,6 Mosè ha “paura”
di guardare verso Dio. Ma Dio non si pone nei suoi confronti come un Signore
pauroso anzi:
- Si prende pensiero per Israele.
- Manda Mosé a liberare il popolo.
- Gli assicura la realtà storica della liberazione (mi servirete
su questo monte).
- Gli rivela il suo nome: YHWH, che è una promessa: io ci sono e
ci sarò nella vostra storia per liberarvi
Usciti dall’Egitto, dopo il passaggio del Mar Rosso, gli ebrei vivono
l’esperienza del deserto: liberi e uniti a Dio, che dà loro
la Sua legge, perché nella fedeltà alla Sua guida potessero
recuperare la dignità di uomini liberi.
Di nuovo Dio chiama e si serve di un uomo in apparenza insignificante; addirittura
balbuziente! Per operare un passaggio fondamentale di avvicinamento all’uomo.
Conquistata la Terra Promessa, instaurato il regno d’Israele, il popolo
dell’Alleanza comincia ad uniformare il proprio comportamento a quello
degli altri popoli: ricchezza, potere, esercito ed intrighi diventano il
cuore delle preoccupazioni dei re ebraici. Dio allora fa sorgere i profeti
per ricordare a Israele che è Lui a guidare la storia.
Tra i tanti passi che possiamo ricordare citiamo qui il passo di Elia: il
primo dei profeti, che stanco per essere stato rifiutato e condannato a
morte dai re d’Israele fugge nel deserto, fino a ritornare sulla montagna
di Dio: l’Oreb. Qui avviene una rivelazione spirituale importante:
"Ivi entrò in una caverna per passarvi la notte, quand'ecco
il Signore gli disse: «Che fai qui, Elia?». Egli rispose: «Sono
pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti
hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso
di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi
la vita». Gli fu detto: «Esci e fermati sul monte alla presenza
del Signore». Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso
e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore,
ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il
Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore
non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero.
Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì
e si fermò all'ingresso della caverna." (1Re 19, 9-13).
La presenza di Dio non è più neppure simboleggiata dalla grandezza,
ma dal “sussurro del silenzio” (possibile traduzione di “vento
leggero”). Come si vede l’intimità tra Dio e l’uomo
si è fatta grande al punto che, nella fase matura dell’esperienza
profetica, Dio interverrà a cambiare l’uomo dal di dentro.
"Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò
dentro di loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò
loro un cuore di carne, perché seguano i miei decreti e osservino
le mie leggi e li mettano in pratica; saranno il mio popolo e io sarò
il loro Dio" (Ez. 11, 19-20).
Questa promessa di cambiamento del cuore dell’uomo avviene attraverso
la promessa della venuta di un uomo, il messia, che sarà il salvatore
definitivo del suo popolo.
Con questa attesa carica di speranza, si chiude l’esperienza spirituale
d’Israele e si apre quella cristiana.
Dio si fa uomo
Il messaggio più sorprendente del cristianesimo ne costituisce
anche il suo cuore: Dio si è fatto carne perché diventassimo
“partecipi della natura divina” (2Pt 1,4) come dice
il n. 460 del Catechismo della Chiesa Cattolica.
La logica del “Dio vicino” diventa qui radicale: Dio diventa
uno di noi.
Il volto umano di Dio: il Figlio Gesù Cristo, entra nella storia,
di nuovo, in punta di piedi. Grazie al libero sì di Maria: una ragazza
della periferia della terra d’Israele, sposata con un poveraccio che,
facendo il falegname, non possedeva neppure un pezzo di terra, la vera ricchezza
del tempo. E infatti i primi a vedere Dio fatto uomo, in un angolo remoto
della terra saranno dei pastori, che passavano la notte a vegliare le greggi.
E’ l’immagine potente ed indimenticabile del Natale, che annuncia
proprio l’affidamento di Dio alla sua creatura. Dio è un bambino
avvolto in fasce, curato dalla sua mamma.
"In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse
il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando
era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare,
ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della
famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì
in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare
insieme con Maria sua sposa, che era incinta.
Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del
parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e
lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.
C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo
la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti
a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da
grande spavento, ma l'angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio
una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato
nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore.
Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace
in una mangiatoia».
E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che
lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e pace in terra agli uomini che egli ama».
Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori
dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento
che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono dunque senz'indugio
e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia.
E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato
detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i
pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole
nel suo cuore. I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando
Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto
loro" (Lc. 2, 1-20).
Il Natale non è solo una festa inventata dai cristiani: già
il testo di Luca nota come i pastori muovono da una grande paura ad una
grande gioia, perché la nascita del Figlio di Dio porta “gloria
a Dio nel cielo e pace sulla terra”. Come scrive Romano il Melode
nel Kontakion:
La vergine oggi dà alla luce l’Eterno
e la terra offre una grotta all’Inaccessibile.
Gli angeli e i pastori a lui inneggiano
e i magi, guidati dalla stella, vengono ad adorarlo.
Tu sei nato per noi
Piccolo Bambino, Dio eterno!
(in Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 525).
L’annuncio di Cristo è un ribaltamento dei “valori” del mondo: Dio, che aveva visto l’essenziale in Abramo, Mosè ed Elia, indica ora all’umanità la “sua” strada verso la felicità.
Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno
ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa
nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.
(Mt. 5, 3-12)
Il cammino spirituale di liberazione interiore, il cuore nuovo di cui parlava
Ezechiele, apre dunque una prospettiva di rifiuto. L’uomo che non
può aver paura di un Dio fatto uomo, teme però il rapporto
con Lui. La responsabilità è fatta di fatica e volontà
per rendere la vita degna di essere vissuta sotto lo sguardo di Dio.
Ma il cammino non è affidato alle forze dell’uomo da solo:
il primo a camminare sulle strade del rifiuto e della persecuzione è
proprio Gesù, nella sua esperienza pasquale di Morte e Risurrezione.
La morte: il grande spauracchio, la grande burattinaia dell’uomo,
capace di ridurre a polvere la grandezza dei re, è ora sconfitta
da Cristo che apre ai suoi fratelli una via di speranza:
Così Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto che mettono in dubbio
la resurrezione dei morti, scrive:
Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è
risorto;
ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete
ancora nei vostri peccati.
E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti.
Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita,
siamo da compiangere più di tutti gli uomini.
Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che
sono morti.
Poiché se a causa di un uomo venne la morte,
a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti;
e come tutti muoiono in Adamo,
così tutti riceveranno la vita in Cristo.
(1Cor. 15, 16-22)
E con questo testo il cerchio si chiude. La paura di Dio, frutto del peccato, è stata annullata dalla resurrezione di Cristo, datore della vita. Il Dio lontano è adesso il compagno del cammino: il Dio del cielo è diventato il Padre Nostro.
Proponiamo all’analisi due capolavori dell’arte che sottolineano
il rapporto intimo tra uomo e Dio nella tradizione ebraico-cristiana.
L’uomo è creatura di Dio (fig. 1), come raffigura Michelangelo
sulla volta della Sistina. L’onnipotente si protende col suo dito
vivo, per dare energia vitale all’uomo sua immagine, perfetto e bellissimo
nella sua apollinea corporeità.
A questa immagine risponde quella di Dio che si è fatto uomo, anzi bimbo, nelle braccia di una giovane, dolcissima madre (fig. 2). I poveri e gli umili gli si avvicinavano sereni: un Dio così e’ l’Emmanuele, il Dio con noi.
Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano 1992.
La Bibbia CEI, Editio princeps, Roma 1971
Nuovo dizionario di Teologia Biblica, Cinisello Balsamo [San Paolo]
1988