Il testo
A cura di Mario Restagno
Le Avventure di Pinocchio è uno spettacolo teatrale con la struttura della commedia musicale: un testo da recitare, delle canzoni da cantare e coreografare. L’insegnante che affronta a scuola la lettura del testo di Collodi, può trovare in questo sussidio un valido strumento per realizzare teatralmente l’opera. Una classe di 20/25 allievi può mettere in scena lo spettacolo con ottimi risultati, in un saloncino, di fronte ai genitori, ai nonni, ai fratelli e alle sorelle, ai compagni delle altre classi. Coloro che hanno mezzi e persone a disposizione possono trovare l’occasione per allestire una vera e propria commedia musicale, come è stato fatto nel DVD allegato.
La sceneggiatura del testo teatrale cerca di rispettare l’originale con un certo scrupolo: troverete infatti che sono conservati anche tipici termini come “bizzosissimo, grullerello, zoppisce, luccioloni...”. Nel contesto del lavoro teatrale e della sua realizzazione questi termini conferiscono una coloritura curiosa e irripetibile. Avvicinare il pubblico e gli attori alla conoscenza del “testo originale” è una priorità importante di questo progetto: suggeriamo di non cedere alla facile tentazione di convertirlo in lingua corrente.
In questo genere di spettacolo, il musical, il testo teatrale non può nascere disancorato dalle parti musicali o viceversa: la parte musicale si sviluppa dentro una struttura drammaturgica. C’è una sola storia che avanza nel tempo sia che la si racconti recitando, sia che la si racconti ballando o cantando. E qui merita un chiarimento importante, utile, credo, a coloro i quali si vogliano cimentare nell’allestimento.
Si è diffusa in Italia l’idea che basti saper scrivere canzoni per creare musical. A nessuno si può negare il permesso di pubblicare opere, tuttavia se i produttori perseguono la linea di affidare ai cantautori la scrittura delle commedie musicali, non bisogna poi lamentarsi che in Italia non decolli questa forma di spettacolo. Ma tant’è, chi è interessato al denaro non è certamente preoccupato di queste riflessioni culturali, ma piuttosto degli incassi al botteghino. Chi lavora nella scuola, o comunque nell’ambito dell’educazione, può permettersi di dare una qualche considerazione al “fattore artistico”. Non solo l’autore è impegnato nello sforzo di dare unità narrativa all’opera, ma anche coloro che la mettono in scena debbono condividere tale preoccupazione. Occorre sempre perseguire il fine narrativo senza lasciarsi distrarre dai diversi linguaggi, che sono solo strumenti espressivi. Affrontare il musical pensando che consista in una serie di canzoni da “cantare bene” o una serie di balletti da “eseguire bene” significa snaturare un’arte che si fonda invece sulla sintesi delle arti. Il rispetto del criterio dell’ “unità narrativa” garantisce valore all’attività teatrale che avvierete con gli allievi consegnando, pur nella semplicità dei mezzi, un messaggio d’arte.
Il testo teatrale è materiale vivo e va adattato alle persone, perciò non abbiate scrupoli riverenziali a modificare con interventi vostri o degli allievi: curate soltanto che il fine sia sempre “lucidamente” quello di rendere più aderente alla realtà locale il messaggio dell’autore. Tuttavia evitate un eccesso opposto: se gli interventi hanno come base l’atteggiamento di chi pensa di correggere ciò che l’autore non ha detto bene o ha detto in maniera sbagliata, sarebbe meglio impegnarsi a scrivere un altro testo!
Mi capitò anni fa di essere invitato ad una rappresentazione: l’organizzatore mi portò in sala dicendomi che “la storia era molto bella, ma in alcune parti si erano permessi di porre delle migliorie al mio testo”. Bene, alla fine, quella storia era diventata quasi irriconoscibile… certamente non corrispondeva più a quanto era nelle mie intenzioni, anzi, diciamo pure che conduceva a conclusioni decisamente opposte.
Ecco, evitate tutto questo, per favore, o perlomeno abbiate la discrezione di non farlo sapere all’autore! È sgradevole il messaggio di debolezza e arroganza creativa che implicitamente viene offerto ai giovani:
- debolezza, perché non ci si assume la responsabilità di inventare qualcosa di proprio…
- arroganza, perché si ritiene di poter migliorare l’altrui opera quando non si è in grado di creare nulla di personale.
In conclusione, per essere del tutto chiari, se potete, evitate di introdurre “Il Gatto e La Volpe” di Bennato giustificandovi che è più conosciuta, oppure “Carissimo Pinocchio” di Dorelli perché al pubblico delle nonne piace… (e sto scrivendo di cose viste con i miei occhi e sentite con i miei orecchi).